Max Santoni

Mi chiamo Max Santoni, ma per tutti sono “Il cuoco rosso”.
Cuoco, non chef.

Il mio approccio genuino all’arte della cucina nasce dal ricordo dei profumi, dei colori e dei sapori della mia infanzia.
Sono cresciuto tra i fornelli di mia nonna, sempre al suo fianco tra uova, farina e mattarello… occhi vispi, grembiulino e manine in pasta a stretto contatto con i segreti della tradizione!
Marchigiano doc dal 1993, ho frequentato l’Istituto Alberghiero Alfredo Panzini di Senigallia (AN) e all’età di 15 anni ho vissuto con entusiasmo le mie prime esperienze nelle cucine degli Chef Mauro Uliassi, Ciccio Sultano e Silvano Pettinari, che Considero tutt’oggi miei mentori e maestri.
A mia nonna devo però il merito di avermi insegnato che una mente libera dai pregiudizi può fare grandi cose. Una consapevolezza che porto in tavola ogni giorno per sorprendere, ma senza troppi colpi di scena: quando hai a disposizione un orto, tanta passione e molta fantasia… sei già a metà dell’opera!

Qualche anno fa, in una bella giornata di sole, ho chiesto a mia nonna di raccontarmi qualcosa della mia infanzia. Amo andarla a trovare, sono da sempre convinto che il tempo trascorso con lei sia prezioso e di inestimabile valore. Ci siamo seduti su una panchina di legno, sotto una grande quercia, e mentre la osservavo lì seduta, con le mani congiunte sul tavolo e l’espressione assorta, mi sono reso conto che stava vivendo quel momento con nostalgica intensità. I suoi occhi concentrati erano alla ricerca di qualche particolare dettaglio, così mi ha guardato e ha detto: «Il primo piatto favoloso che hai preparato è stato quello delle bistecche con mele e cipolle in agrodolce. Ho ancora la tua ricetta! Eri piccolissimo!». Ha sorriso. L’ho fatto anche io. Ricordo bene quella volta. Ero al primo anno della scuola alberghiera e l’avevo invitata a cena per mettere alla prova le mie prime conoscenze e cucinare per tutta la famiglia! Quella sera rimase piacevolmente colpita dall’accostamento di sapori che avevo scelto, senza dubbio distanti da quelli della sua cucina tradizionale. 😀 Quando le ho chiesto cosa ricordasse dei momenti che trascorrevamo insieme quando ero piccolo, lei, senza esitare, ha pensato subito al mio passatempo preferito: «Tu e le pentoline eravate inseparabili! Ci versavi la pasta e le appoggiavi sulle poltrone del salotto, come fossero dei fornelli. Travasavi, ne mettevi un po’ da una parte, un po’ dall’altra… avevi sempre da fare e guai se qualcuno provava a distrarti! Avevi quattro anni e non volevi saperne di altri giochi!». La cosa buffa ma allo stesso tempo bellissima del mio lavoro, è che ancora oggi porto in tavola ricette che, se ci penso bene, mi alleno a preparare da quando per arrivare al tavolo della cucina avevo bisogno di arrampicarmi su una sedia. Vincisgrassi, cappelletti, pasta all’uovo, ciambellone, il suo tiramisù con le Marie! Ancora oggi ci diamo suggerimenti a vicenda su come e cosa cucinare… è fantastico quando si affida ai miei consigli, ma ancor di più quando sorride dopo aver assaggiato qualcosa che ho rivisitato, come i cappelletti al limone! Mentre tanti dei miei compagni di scuola guardavano la tv o correvano ai loro appuntamenti sportivi del pomeriggio, io imparavo a fare la perna. Lo so, può sembrarti una parola strana, ma lascia che ti spieghi. La perna è l’arte, dal sapore antico, di stendere la pasta all’uovo fatta a mano fino a farla diventare omogenea e sottile. Anni fa era consuetudine prepararla in casa e anche se oggi i più moderni attrezzi e macchinari da cucina stanno sostituendo l’”olio di gomito”, sono felice di custodire questa tradizione in via d’estinzione, che richiede tempo, calma e pazienza. Non si può andare di fretta con la perna, perché cucinare è un gesto di pura artigianalità e un atto d’amore (che condividerò anche con te quando parteciperai ai miei corsi!). Dicevamo… Quel giorno, tra una parola in dialetto e l’altra, ho chiesto a mia nonna: «Ti saresti mai cresa (avresti mai pensato) che sarei diventato un cuoco per professione?». Lei mi ha guardato, ha scosso la testa e ha esclamato un sincero ”No”. «Ma nonna, come no?!» «Per te era tutto in gioco: la farina, le uova, la cucina, il grembiule, le pentole… Mi chiedevi continuamente di portarti nell’orto per assistere alla semina, guardare le piante germogliare e controllare la crescita degli ortaggi… Beh, forse lo avrei dovuto intuire subito che avresti fatto il cuoco per mestiere!» «Ah sì? Perché?» Ha rivolto il suo sguardo sulle mie mani e mi ha accarezzato dandomi la risposta che mai dimenticherò e che ha dato un senso alla mia vita: “Hai avuto la fortuna di individuare da subito il tuo talento, lo hai allenato con tenacia, determinazione, ed io ho avuto il privilegio di esser stata tua complice! La cosa più bella del tuo lavoro è rendere felici gli altri con le tue ricette e pensare che in quei sapori ci sarò per sempre anche io, rende felice me!»

Qualche anno fa, in una bella giornata di sole, ho chiesto a mia nonna di raccontarmi qualcosa della mia infanzia. Amo andarla a trovare, sono da sempre convinto che il tempo trascorso con lei sia prezioso e di inestimabile valore. Ci siamo seduti su una panchina di legno, sotto una grande quercia, e mentre la osservavo lì seduta, con le mani congiunte sul tavolo e l’espressione assorta, mi sono reso conto che stava vivendo quel momento con nostalgica intensità. I suoi occhi concentrati erano alla ricerca di qualche particolare dettaglio, così mi ha guardato e ha detto: «Il primo piatto favoloso che hai preparato è stato quello delle bistecche con mele e cipolle in agrodolce. Ho ancora la tua ricetta! Eri piccolissimo!». Ha sorriso. L’ho fatto anche io. Ricordo bene quella volta. Ero al primo anno della scuola alberghiera e l’avevo invitata a cena per mettere alla prova le mie prime conoscenze e cucinare per tutta la famiglia! Quella sera rimase piacevolmente colpita dall’accostamento di sapori che avevo scelto, senza dubbio distanti da quelli della sua cucina tradizionale. 😀
Quando le ho chiesto cosa ricordasse dei momenti che trascorrevamo insieme quando ero piccolo, lei, senza esitare, ha pensato subito al mio passatempo preferito: «Tu e le pentoline eravate inseparabili! Ci versavi la pasta e le appoggiavi sulle poltrone del salotto, come fossero dei fornelli. Travasavi, ne mettevi un po’ da una parte, un po’ dall’altra… avevi sempre da fare e guai se qualcuno provava a distrarti! Avevi quattro anni e non volevi saperne di altri giochi!».
La cosa buffa ma allo stesso tempo bellissima del mio lavoro, è che ancora oggi porto in tavola ricette che, se ci penso bene, mi alleno a preparare da quando per arrivare al tavolo della cucina avevo bisogno di arrampicarmi su una sedia. Vincisgrassi, cappelletti, pasta all’uovo, ciambellone, il suo tiramisù con le Marie!
Ancora oggi ci diamo suggerimenti a vicenda su come e cosa cucinare… è fantastico quando si affida ai miei consigli, ma ancor di più quando sorride dopo aver assaggiato qualcosa che ho rivisitato, come i cappelletti al limone!
Mentre tanti dei miei compagni di scuola guardavano la tv o correvano ai loro appuntamenti sportivi del pomeriggio, io imparavo a fare la perna.
Lo so, può sembrarti una parola strana, ma lascia che ti spieghi.
La perna è l’arte, dal sapore antico, di stendere la pasta all’uovo fatta a mano fino a farla diventare omogenea e sottile. Anni fa era consuetudine prepararla in casa e anche se oggi i più moderni attrezzi e macchinari da cucina stanno sostituendo l’”olio di gomito”, sono felice di custodire questa tradizione in via d’estinzione, che richiede tempo, calma e pazienza. Non si può andare di fretta con la perna, perché cucinare è un gesto di pura artigianalità e un atto d’amore (che condividerò anche con te quando parteciperai ai miei corsi!).
Dicevamo… Quel giorno, tra una parola in dialetto e l’altra, ho chiesto a mia nonna: «Ti saresti mai cresa (avresti mai pensato) che sarei diventato un cuoco per professione?». Lei mi ha guardato, ha scosso la testa e ha esclamato un sincero ”No”.
«Ma nonna, come no?!»
«Per te era tutto in gioco: la farina, le uova, la cucina, il grembiule, le pentole… Mi chiedevi continuamente di portarti nell’orto per assistere alla semina, guardare le piante germogliare e controllare la crescita degli ortaggi… Beh, forse lo avrei dovuto intuire subito che avresti fatto il cuoco per mestiere!»
«Ah sì? Perché?»
Ha rivolto il suo sguardo sulle mie mani e mi ha accarezzato dandomi la risposta che mai dimenticherò e che ha dato un senso alla mia vita:
“Hai avuto la fortuna di individuare da subito il tuo talento, lo hai allenato con tenacia, determinazione, ed io ho avuto il privilegio di esser stata tua complice! La cosa più bella del tuo lavoro è rendere felici gli altri con le tue ricette e pensare che in quei sapori ci sarò per sempre anche io, rende felice me!»

Qualche anno fa, in una bella giornata di sole, ho chiesto a mia nonna di raccontarmi qualcosa della mia infanzia. Amo andarla a trovare, sono da sempre convinto che il tempo trascorso con lei sia prezioso e di inestimabile valore. Ci siamo seduti su una panchina di legno, sotto una grande quercia, e mentre la osservavo lì seduta, con le mani congiunte sul tavolo e l’espressione assorta, mi sono reso conto che stava vivendo quel momento con nostalgica intensità. I suoi occhi concentrati erano alla ricerca di qualche particolare dettaglio, così mi ha guardato e ha detto: «Il primo piatto favoloso che hai preparato è stato quello delle bistecche con mele e cipolle in agrodolce. Ho ancora la tua ricetta! Eri piccolissimo!». Ha sorriso. L’ho fatto anche io. Ricordo bene quella volta. Ero al primo anno della scuola alberghiera e l’avevo invitata a cena per mettere alla prova le mie prime conoscenze e cucinare per tutta la famiglia! Quella sera rimase piacevolmente colpita dall’accostamento di sapori che avevo scelto, senza dubbio distanti da quelli della sua cucina tradizionale. 😀
Quando le ho chiesto cosa ricordasse dei momenti che trascorrevamo insieme quando ero piccolo, lei, senza esitare, ha pensato subito al mio passatempo preferito: «Tu e le pentoline eravate inseparabili! Ci versavi la pasta e le appoggiavi sulle poltrone del salotto, come fossero dei fornelli. Travasavi, ne mettevi un po’ da una parte, un po’ dall’altra… avevi sempre da fare e guai se qualcuno provava a distrarti! Avevi quattro anni e non volevi saperne di altri giochi!».
La cosa buffa ma allo stesso tempo bellissima del mio lavoro, è che ancora oggi porto in tavola ricette che, se ci penso bene, mi alleno a preparare da quando per arrivare al tavolo della cucina avevo bisogno di arrampicarmi su una sedia. Vincisgrassi, cappelletti, pasta all’uovo, ciambellone, il suo tiramisù con le Marie!
Ancora oggi ci diamo suggerimenti a vicenda su come e cosa cucinare… è fantastico quando si affida ai miei consigli, ma ancor di più quando sorride dopo aver assaggiato qualcosa che ho rivisitato, come i cappelletti al limone!
Mentre tanti dei miei compagni di scuola guardavano la tv o correvano ai loro appuntamenti sportivi del pomeriggio, io imparavo a fare la perna.
Lo so, può sembrarti una parola strana, ma lascia che ti spieghi.
La perna è l’arte, dal sapore antico, di stendere la pasta all’uovo fatta a mano fino a farla diventare omogenea e sottile. Anni fa era consuetudine prepararla in casa e anche se oggi i più moderni attrezzi e macchinari da cucina stanno sostituendo l’”olio di gomito”, sono felice di custodire questa tradizione in via d’estinzione, che richiede tempo, calma e pazienza. Non si può andare di fretta con la perna, perché cucinare è un gesto di pura artigianalità e un atto d’amore (che condividerò anche con te quando parteciperai ai miei corsi!).
Dicevamo… Quel giorno, tra una parola in dialetto e l’altra, ho chiesto a mia nonna: «Ti saresti mai cresa (avresti mai pensato) che sarei diventato un cuoco per professione?». Lei mi ha guardato, ha scosso la testa e ha esclamato un sincero ”No”.
«Ma nonna, come no?!»
«Per te era tutto in gioco: la farina, le uova, la cucina, il grembiule, le pentole… Mi chiedevi continuamente di portarti nell’orto per assistere alla semina, guardare le piante germogliare e controllare la crescita degli ortaggi… Beh, forse lo avrei dovuto intuire subito che avresti fatto il cuoco per mestiere!»
«Ah sì? Perché?»
Ha rivolto il suo sguardo sulle mie mani e mi ha accarezzato dandomi la risposta che mai dimenticherò e che ha dato un senso alla mia vita:
“Hai avuto la fortuna di individuare da subito il tuo talento, lo hai allenato con tenacia, determinazione, ed io ho avuto il privilegio di esser stata tua complice! La cosa più bella del tuo lavoro è rendere felici gli altri con le tue ricette e pensare che in quei sapori ci sarò per sempre anche io, rende felice me!»

Ed ora... leggi qua, perché voglio racontarvi una storia​

Qualche anno fa, in una bella giornata di sole, ho chiesto a mia nonna di raccontarmi qualcosa della mia infanzia. Amo andarla a trovare, sono da sempre convinto che il tempo trascorso con lei sia prezioso e di inestimabile valore. Ci siamo seduti su una panchina di legno, sotto una grande quercia, e mentre la osservavo lì seduta, con le mani congiunte sul tavolo e l’espressione assorta, mi sono reso conto che stava vivendo quel momento con nostalgica intensità. I suoi occhi concentrati erano alla ricerca di qualche particolare dettaglio, così mi ha guardato e ha detto: «Il primo piatto favoloso che hai preparato è stato quello delle bistecche con mele e cipolle in agrodolce. Ho ancora la tua ricetta! Eri piccolissimo!». Ha sorriso. L’ho fatto anche io. Ricordo bene quella volta. Ero al primo anno della scuola alberghiera e l’avevo invitata a cena per mettere alla prova le mie prime conoscenze e cucinare per tutta la famiglia! Quella sera rimase piacevolmente colpita dall’accostamento di sapori che avevo scelto, senza dubbio distanti da quelli della sua cucina tradizionale. 😀
Quando le ho chiesto cosa ricordasse dei momenti che trascorrevamo insieme quando ero piccolo, lei, senza esitare, ha pensato subito al mio passatempo preferito: «Tu e le pentoline eravate inseparabili! Ci versavi la pasta e le appoggiavi sulle poltrone del salotto, come fossero dei fornelli. Travasavi, ne mettevi un po’ da una parte, un po’ dall’altra… avevi sempre da fare e guai se qualcuno provava a distrarti! Avevi quattro anni e non volevi saperne di altri giochi!».
La cosa buffa ma allo stesso tempo bellissima del mio lavoro, è che ancora oggi porto in tavola ricette che, se ci penso bene, mi alleno a preparare da quando per arrivare al tavolo della cucina avevo bisogno di arrampicarmi su una sedia. Vincisgrassi, cappelletti, pasta all’uovo, ciambellone, il suo tiramisù con le Marie!
Ancora oggi ci diamo suggerimenti a vicenda su come e cosa cucinare… è fantastico quando si affida ai miei consigli, ma ancor di più quando sorride dopo aver assaggiato qualcosa che ho rivisitato, come i cappelletti al limone!
Mentre tanti dei miei compagni di scuola guardavano la tv o correvano ai loro appuntamenti sportivi del pomeriggio, io imparavo a fare la perna.
Lo so, può sembrarti una parola strana, ma lascia che ti spieghi.
La perna è l’arte, dal sapore antico, di stendere la pasta all’uovo fatta a mano fino a farla diventare omogenea e sottile. Anni fa era consuetudine prepararla in casa e anche se oggi i più moderni attrezzi e macchinari da cucina stanno sostituendo l’”olio di gomito”, sono felice di custodire questa tradizione in via d’estinzione, che richiede tempo, calma e pazienza. Non si può andare di fretta con la perna, perché cucinare è un gesto di pura artigianalità e un atto d’amore (che condividerò anche con te quando parteciperai ai miei corsi!).
Dicevamo… Quel giorno, tra una parola in dialetto e l’altra, ho chiesto a mia nonna: «Ti saresti mai cresa (avresti mai pensato) che sarei diventato un cuoco per professione?». Lei mi ha guardato, ha scosso la testa e ha esclamato un sincero ”No”.
«Ma nonna, come no?!»
«Per te era tutto in gioco: la farina, le uova, la cucina, il grembiule, le pentole… Mi chiedevi continuamente di portarti nell’orto per assistere alla semina, guardare le piante germogliare e controllare la crescita degli ortaggi… Beh, forse lo avrei dovuto intuire subito che avresti fatto il cuoco per mestiere!»
«Ah sì? Perché?»
Ha rivolto il suo sguardo sulle mie mani e mi ha accarezzato dandomi la risposta che mai dimenticherò e che ha dato un senso alla mia vita:
“Hai avuto la fortuna di individuare da subito il tuo talento, lo hai allenato con tenacia, determinazione, ed io ho avuto il privilegio di esser stata tua complice! La cosa più bella del tuo lavoro è rendere felici gli altri con le tue ricette e pensare che in quei sapori ci sarò per sempre anche io, rende felice me!»